Cinque poliziotti all'alba
La mattina del 18 marzo 1978, soltanto due giorni dopo l’efferato agguato di via Fani dove sono stati uccisi i 5 uomini della scorta e rapito il Presidente della Dc Aldo Moro, alle sette di mattina, gli uomini del commissariato Flaminio iniziano a suonare alle porte degli appartamenti dello stabile di via Gradoli 96. In quel palazzo, al secondo piano, interno 11, c’è una delle principali basi delle Br a Roma, che in quel momento ospita Mario Moretti, membro del comitato esecutivo e capo della colonna romana, di fatto colui che gestisce il rapimento Moro. Assieme a Moretti c’è Barbara Balzerani, unica donna del commando che ha eseguito l’attacco di via Fani.
La squadra di poliziotti è comandata dal brigadiere Domenico Merola e composta dal vicebrigadiere Di Spirito, dagli appuntati Colucci e Firmani e dalla guardia Di Muccio.
L’operazione dura l’intera mattina e, secondo quanto riportato nell’ordine di servizio che, come vedremo susciterà non poche polemiche, vengono identificate 17 persone. La nota i precisa:
Numerosi appartamenti sono stati trovati chiusi, sul conto degli abitanti nulla essendo emerso a loro carico, non si è proceduto ad aprire con la forza.
Tra gli appartamenti chiusi, evidentemente c’è anche l’interno 11: il covo Br.
L’operazione, che non ha dato nessun esito, viene archiviata insieme alle centinaia di altre simili. Esattamente un mese dopo, però, il 18 Aprile, una perdita d’acqua con il successivo intervento dei pompieri, fa scoprire, proprio al numero 96 di via Gradoli, un’attrezzatissima base delle Br.
Gli interrogativi
Dopo la conclusione della vicenda Moro, incomincia a trapelare la notizia di quella prima perquisizione con esito negativo. Prima i giornali e poi la pubblicistica iniziano ad interrogarsi sulle modalità del controllo del 18 marzo.
Ma questo sarà solo uno dei numerosi interrogativi che aleggeranno su via Gradoli, rendendo quel piccolo appartamento al secondo piano, uno dei punti chiave della vicenda Moro.
Riguardo la perquisizione degli agenti del commissariato Flaminio effettuata il 18 marzo due sono le domande che si pongono.
Primo: perché, a soli due giorni di distanza dal rapimento si procede alla perquisizione di Via Gradoli 96? Perché si sceglie proprio quello stabile tra le migliaia presenti nella zona? La scelta è frutto di conoscenze specifiche o segnalazioni?
Secondo: perché durante i controlli non si è proceduto, in presenza di nessuna risposta, ad abbattere la porta e procedere ugualmente alla perquisizione dell’interno 11, pratica più volte utilizzata in quei giorni?
Riguardo il motivo per cui via Gradoli 96 sia stata subito “attenzionata” dalle forze dell’ordine sono state fatte molte ipotesi. Si parte da una sorveglianza speciale per la presenza in quella via di molteplici soggetti “particolari” per arrivare ad ipotizzare una vera e propria collusione tra le Br, in particolare Moretti, ed i servizi segreti. Di queste variegate ipotesi parleremo diffusamente in un altro articolo.
La segnalazione al Ministero degli Interni
Affrontiamo invece brevemente un'ipotesi descritta in un articolo del Corriere della Sera, a firma di Sandro Acciari, del 12 agosto 1978, perché, al di la del fatto specifico, ci appare come un classico esempio di come si sono formati alcuni fantasmi del caso Moro. Acciari scrive:
Gli esempi non si contano l’ultimo è trapelato nelle ultime ore: la segnalazione circa la presenza di una base delle BR in via Gradoli venne trasmessa dalla segreteria del ministro Cossiga al capo della polizia a meno di 48 ore dall’agguato. Il 18 marzo la polizia andò in forze (furono impiegati anche gli elicotteri) ma si limitò a bussare alla porta dell’appartamento. Nessuno rispose, gli agenti con mitra e giubbotti antiproiettile rientrarono in caserma. Tornarono un mese dopo, il 18 aprile, chiamati dal vigile, del fuoco che era entrato nell’abitazione per una perdita d’acqua.
Interrogato dal giudice Imposimato il 21 agosto Acciari conferma l'articolo e precisa:
Seppi [la notizia] da persona di cui non intendo rilevare il nome... Ho saputo dalla stessa persona che la notizia fu trasmessa al Capo della Polizia, Parlato, il quale dispose una perquisizione in via Gradoli.
Con il passare del tempo e l'acquisizione di nuovi elementi sulla perquisizione risultò evidente quanto era priva di fondamento la ricostruzione di Acciari. Non solo perché in via Gradoli non arrivarono ne elicotteri ne agenti in stato di guerra, ma semplici poliziotti del commissariato Flaminio, ma soprattutto perché lo stesso Acciari, nell'aula del primo processo Moro, si espresse in modo totalmente diverso.
Innanzitutto Acciari colloca l'indiscrezione in un periodo successivo alla scoperta del covo di via Gradoli e precisamente "dopo la morte del Presidente della DC”. e specifica:
Io raccolsi una voce a Palazzo di Giustizia... c'era stata una perquisizione il 18 marzo nello stabile dove c'era l'appartamento delle Br. Processo Moro, udienza del 30 09 1982, CM1 vol. LXXVIII pag 335. (...) La fonte di cui parlo è il dottor Luigi Zanda... addetto stampa del Ministro degli Interni. Ibid. pag. 359
La cosa più importante, però, è che definisce il tutto un equivoco:
L'equivoco per come l'ho ricostruito dopo è che io sicuramente mi riferivo alla perquisizione del 18 Marzo in via Gradoli, la fonte si riferiva all'esito della seduta spiritica a Bologna presenti l'attuale Ministro Prodi ed altri docenti universitari in cui si parlava di Gradoli e la perquisizione disposta dal Capo della polizia Parlato. Lui si riferiva al paese di Gradoli. (...) a quanto mi risulta la segnalazione giunta al ministero dell'interno era una sola ed era quella che si riferiva alla seduta spiritica. Ibid pag. 341
Un fantasma fasullo
La questione sembrerebbe definitamente risolta ed invece inopinatamente Sergio Flamigni nel suo libro “Il covo di Stato”, pubblicato nel 1999, e dedicato interamente alla base di via Gradoli rispolvera l'indiscrezione:
Cinque mesi dopo, nell'agosto 1978, il giornalista Sandro Acciari rivelò quella strana perquisizione precisando che pervenne alla segreteria del Ministro dell'Interno tra il 16 e 17 marzo una segnalazione anonima che informava dell'esistenza di un covo delle br in via Gradoli. Sergio Flamigni, Il covo di Stato, Kaos Edizioni, 1999, pag 25.
Flamigni quindi, si limita a citare la deposizione di Acciari del 1978 senza accennare minimamente alla testimonianza dello stesso giornalista al processo Moro in cui viene smentita ogni segnalazione relativa a via Gradoli, ed imputa ad una fantomatica:
... scomparsa dei documenti dal ministero dell'Interno [che] impedirà alla magistratura di effettuare i necessari accertamenti per risalire alla fonte che aveva indirizzato la polizia in via Gradoli 96. Ibid.
Ed ecco evocato un nuovo, inutile, fantasma del caso Moro.
I motivi del controllo
Sgombrato il campo da fantomatiche segnalazioni, resta la domanda perché la polizia arriva in via Gradoli a soli due giorni dalla strage?
Secondo le forze dell'ordine, la ricognizione non riguardava solo lo stabile di via Gradoli 96, ma rientrava in una più vasta operazione di controllo degli stabili della zona. Quindi non esiste nessuna specifica segnalazione alla base del controllo.
Il brigadiere Domenico Merola, colui che effettuò materialmente il controllo, al processo Moro 1 testimonia:
La sera precedente aveva detto [il dirigente del commissariato Flaminio dott. Costa]di effettuare dei controlli in strade dove si trovavano stabili di mini appartamenti allo scopo informativo per poter assumere, acquisire notizia circa elementi che potevano far addivenire alla scoperta di brigatisti, covi e altre cose.[...] Informativo, secondo gli ordini che io avevo ricevuto, di costituire una squadra del commissariato e di recarci nelle strade dove esistevano questi miniappartamenti; bussare alle porte, vedere delle persone, identificarle, chiedere notizie se c'erano movimenti strani persone sospette e via di seguito. Processo Moro, Udienza del23/09/1982, CM1 vol. LXXVII, pag 529
Il dirigente, dott. Gaetano Costa conferma:
[Gli ordini] erano generici, di fare posti di blocco, di accertamenti, indagini, sopralluoghi. Ibid pag 538.
Ancora più chiaro è il Sostituto Procuratore Luciano Infelisi che coordinò la prima parte delle indagini:
a via Gradoli numero 96 si andò e si andò non solo lì, si andò a cercare tutti i miniappartamenti e i residence della zona; fra questi 30 o 40 palazzi c'era anche via Gradoli n. 96. Non c'era stata nessuna indicazione per via Gradoli n. 96. Fu una scelta che facemmo insieme dal punto di vista qualitativo, dell'oggetto. CM1, seduta del. 27/01/1981, vol. VII pag 138.
Il giudice Santiapichi, nella seduta del 22/09/1982, rivolge poi l'attenzione sul fatto se quella mattina fu controllata solo lo stabile di via Gradoli o ci furono anche altre perquisizioni in stabili della zona. Il brigadiere Merola afferma:
Terminato il controllo dello stabile di via Gradoli, con la squadra mi spostai in via Vito Sinisi n.71, per localizzare altro stabile composto di miniappartamenti e successivamente in via Carlo Biroli e in via Antonio Labranca, entrambi indirizzi senza numeri civici, dove avevo avuto segnalazioni dell'esistenza di complessi di miniappartamenti. Voglio precisare che la mattina del 18 marzo 1978 fu occupata interamente per il controllo degli appartamenti di via Gradoli 96, mentre nelle altre tre vie mi limitai soltanto ad effettuare un sopralluogo per avere la conferma dell'esistenza di miniappartamentoti per eventuali esigenze future. Voglio infine precisare che nella lettura che mi viene fatta della mia relazione di servizio del 18 marzo 1978 può effettivamente ricavarsi l'impressione che io'abbia anche controllato gli appartamenti ubicati nelle altre tre vie indicate. In effetti ribadisco, come sopra detto, che in dette vie ho effettuato soltanto un sopralluogo senza identificare alcuna persona". Processo Moro, Udienza del23/09/1982, CM1 vol. LXXVII, pag 587.
Tre dei quattro componenti della squadra, interrogati nella stessa udienza confermano le affermazioni di Merola.
Di Spirito;
Abbiamo fatto numerose...[perquisizioni]
Firmani :
In via Gradoli e poi andammo in altri appartamenti della zona...
Colucci:
Siamo andati anche in altre parti dopo…
il solo Di Muccio invece afferma:
Io quella mattina mi ricordo di aver fatto solo via Gradoli.
Chi ricorda di aver “fatto” anche altri controlli concorda che queste verifiche, nelle altre vie, vista l'ora tarda, si limitarono ad una ricognizione generica senza identificazioni di persone.
In conclusione si può rilevare che riguardo il motivo del controllo esiste un’ assoluta concordanza delle affermazioni di Polizia e Magistratura. D’altro canto non esistono non solo prove ma neanche indizi di un’eventuale segnalazione specifica riguardante via Gradoli 96.
La mancata perquisizione
Un altro grande quesito, che aleggia sull'operazione del 18 marzo, riguarda la mancata perquisizione del covo brigatista. Perché gli agenti di polizia mandati a perquisire gli appartamenti si fermano davanti alla porta chiusa dell’interno 11 e non procedono all’abbattimento della porta come è avvenuto in tante altre occasioni.
Per prima cosa dobbiamo porci una domanda. Il controllo degli stabili prevedeva la perquisizione degli appartamenti?
Su questo punto durante il primo processo Moro sono stati ascoltati tutti gli agenti impegnati nel controlli.
Domenico Merola il capo pattuglia, interrogato dal giudice Santiapichi afferma:
PRESIDENTE. Ora desidero sapere da lei: in questi ordini era compreso l'ordine di perquisire?
MEROLA. Nossignore.
PRESIDENTE. Quindi non aveva l'ordine di perquisire?
MEROLA. Nossignore.
PRESIDENTE. [legge la relazione di servizio, ndr] ho effettuato
controlli di miniappartamenti... Quindi che significa "controlli"?
MEROLA. Controllo, secondo le disposizioni ricevute era recarsi
negli stabili e localizzare soprattutto questi stabili di
miniappartamenti e poi avere contatti con gli abitanti, di
identificarli, come ho già detto prima, vedere di che persone si
trattava, se potevano fornire notizie circa la indagini che
stavamo facendo. Processo Moro, Udienza del23/09/1982, CM1 vol. LXXVII, pag 587.
Anche gli altri componenti della squadra confermano la natura dell’azione
Di Spirito:
ma non erano perquisizioni, erano più che altro controlli. Noi bussavamo alle porte. Dove ci aprivano, davamo un’occhiata dentro; dove non ci aprivano non facevamo niente. Ibid. pag, 574
Firmani:
Bussavamo nelle porte, dove c’erano le persone e si identificava chi si trovava all’interno. Ibid. pag. 582
Ancora più chiaro è il dott. Gaetano Costa, il dirigente del commissariato Flaminio, che impartì gli ordini a Merola:
PRESIDENTE. Dovevano fare delle perquisizioni?
COSTA. No; le perquisizioni si fanno se ci sono gli elementi
per farle. Prima facevamo degli accertamenti per vedere chi
poteva abitare là, per sapere che gente c'era, chi non c'era. Poi
se fossero emersi elementi per la perquisizione, si sarebbe
eventualmente proceduto. […] Noi avevamo ricevuto l'ordine
di fare degli accerta menti e dei posti di blocco. Se
emergevano sospetti, o se c’erano gli estremi di reato per
poter eseguire la perquisizione, la eseguivamo; altrimenti no.
Non possiamo fare una perquisizione se la legge non ce lo
consente.
Ibid. pag. 543
Quindi, i componenti della squadra ed il dirigente che ha impartito l’ordine, sostengono all’unisono che non si sarebbe trattato di una perquisizione ma di un semplice accertamento di generalità.
A confermare “l’approccio soft” del controllo è l’inquilina più famosa di via Gradoli quella Lucia Mockbel (1) che affermò di aver ascoltato i segnali Morse provenire da qualche parte del palazzo.
PRESIDENTE. Hanno perquisito il suo appartamento?
MACBEL. Si... No, no, non l’hanno perquisito il mio appartamento; sono rimasti alla porta molto educatamente.
PRESIDENTE. Sono rimasti alla porta?
MACBEL. Si.
PRESIDENTE. E hanno chiesto il documento.
MACBEL. Si.
PRESIDENTE. Dentro non hanno visto quello che c'era.
MACBEL. Sono entrati quando io li ho fatti accomodare, perché gentilmente, già che c'erano, mi potevano portare il messaggio in questura a una persona. Ibid. pag.521
Questo il comportamento con gli inquilini presenti negli appartamenti. Molti appartamenti di via Gradoli furono trovati chiusi e per nessuno di essi si procedette all’abbattimento della porta. Pertanto nei confronti dell’interno n°11 “brigatista” non si adottò nessun comportamento di favore. La prova più evidente è il fatto che l’appartamento adiacente a quello dei brigatisti, abitato dalla coppia Chiavolini – Perri, assenti da Roma quel giorno non subì l'apertura forzata della porta.
Ci si chiederà perché questo tipo di comportamento soft quando in altre circostanze bastava un piccolo ritardo e si procedeva entrando negli appartamenti con la forza?
Probabilmente perché si è confuso, più o meno volutamente, un semplice controllo di generalità effettuato dal commissariato Flaminio, con vere e proprie operazioni di polizia coordinate dalla Questura Centrale e dal Comando dei Carabinieri.
A tale proposito si riporta un brano tratto dal Corriere della Sera in cui si descrive questo tipo di operazione:
Uno squadrone di trenta carabinieri armati di mitra e giubbotti antiproiettile accerchia una palazzina nei pressi di Via Massimi. Mentre due militi bloccano l’ascensore, altri dieci salgono fino all’ultimo piano e cominciano a suonare ai campanelli. Un inquilino tarda ad aprire la porta e la porta è sfondata. Corriere della Sera 18 Marzo 1978
Ed è sintomatico che Acciari nel suo fantasioso articolo sul controllo del 18 marzo si riferisca a quel tipo di operazioni parlando di agenti con mitra e giubbotti antiproiettile” e “l’uso di elicotteri”
Ma in via Gradoli, come gli farà notare il Presidente Santiapichi nell’udienza al processo Moro, non c’erano ne elicotteri ne mitra e giubbotti antiproiettile.
C’era, invece, una squadra di 5 poliziotti, ben diversa, formata all’ultimo minuto, in cui per fare numero si erano inseriti: un agente: Di Spirito, che “ero smontante di notte, avevo fatto 12 ore e mi ero prestato per aiutare", ed un altro agente Colucci che normalmente ricopriva il ruolo di archivista all’interno del Commissariato Flaminio.
Note:
(1): Nel verbale dell’udienza è riportata erroneamente come Lucia Macbel